Il lebbroso sta sulla strada perché sa che Gesù non abita nei palazzi ma passerà di lì e si lascerà toccare dal suo dolore. Solo nel contatto amoroso con le nostre "lebbre", le nostre parti morte, possiamo ritrovare il profumo di una vita bella e felice.
Il Vangelo di Marco ci mostra uno splendido spaccato della giornata di Gesù, per mostrarci come l'unica cosa che conta veramente è vivere le relazioni - specie quelle più ferite - con amore, prendendosi cura degli altri ma anche proteggendo la propria interiorità e intimità.
A volte l'amore si presenta nella nostra vita per donarci un'esistenza più piena e autentica, ma non sappiamo riconoscerlo. Vuole renderci felici, ma per farlo deve far tacere la nostra paura di essere felici e le disarmonie interiori che convivono con la mediocrità di un'esistenza piatta e banale.
Gesù passa lungo le rive del quotidiano per rimettere in cammino la nostra umanità, portando tra le nostre vie, case e piazze la buona notizia che è possibile ogni trasformazione che fa crescere e maturare la vita.
Siamo vivi quando coltiviamo un desiderio profondo che ci muove, che alimenta la nostra ricerca di Vita e di un luogo dove dimorare. Gesù è indicato da Giovanni Battista come colui che "rimane", cioè colui che abita la vita pienamente ed esercita per questo un fascino contagioso sui primi discepoli, che corre di bocca in bocca.
Maria è l'icona della donna concreta che sa obbedire alla Vita dialogando con essa, fino a fidarsi completamente e a dire il suo "si", con il coraggio di chi sa ascoltarsi e andare controcorrente.
Chi siamo? Cosa ci stiamo a fare al mondo? Giovanni Battista è l'uomo che sa stare al suo posto e fare spazio all'Altro vivendo la sua identità di testimone. Come lui, è importante riconoscere la nostra particolarità e unicità, il nostro posto nel mondo, senza voler assomigliare ad altri.
Gesù è la "buona notizia" di una vita piena e abbondante che è alla nostra portata; Giovanni Battista e il deserto rappresentano la preparazione necessaria per spogliarsi delle inutili zavorre che ci impediscono di immergerci completamente, di essere "battezzati" nella nostra umanità.
Attraverso tre verbi e una piccola parabola, il vangelo di questa prima domenica di Avvento ci mette "in guardia" - nel senso letterale della parola - da ogni addormentamento e illusione che non ci permette di stare svegli e attenti alla Vita con le sue imprevedibili e avventurose visite.
Il "giudizio", cioè la qualità della nostra vita, non sarà basato su quanti peccati abbiamo commesso, ma su quanto abbiamo amato. Il vero bene è inconsapevole e rivolto a chi non può sdebitarsi, i poveri, che sono il volto nascosto di D-o.
Il più grave "peccato" che possiamo commettere non è un gesto o una parola sbagliati, ma non osare la vita, vivere con un atteggiamento rinunciatario e fatalistico, avvolti dalla paura del giudizio e nel terrore di sbagliare. La parabola dei talenti suggerisce anche una nuova immagine di D-o...
In questa parabola, ambientata nell'imminenza di una festa di nozze, nessuno fa quello che dovrebbe fare. Per partecipare alla festa ci vuole un cambiamento di mentalità. Uno stimolo per noi a comprendere cosa è l'attesa e come viverla per poter entrare nella festa della Vita.
